Se ne erano andati in Cina, nel Sud-Est asiatico e nell’Europa dell’Est per sfruttare i vantaggi fiscali e per trovare un costo del lavoro favorevole, ma ora molti imprenditori italiani stanno riportando la produzione in Italia.
A conti fatti, i vantaggi della delocalizzazione non sono poi così grandi, mentre la garanzia di un prodotto 100% italiano è un valore aggiunto sempre più apprezzato dal mercato.
Il fenomeno, denominato back reshoring è oggetto di studio da parte del consorzio interuniversitario Uni-Club MoRe Back- Reshoring, di cui fanno parte gli atenei di Udine, Modena-Reggio Emilia, Bologna, L’Aquila, Catania. Luciano Fratocchi, docente di ingegneria economico-gestionale all’Università dell’Aquila afferma che i primi casi di rilocalizzazione si sono verificati a partire dal 2008/2009 e che oggi sono un centinaio le aziende italiane che hanno deciso di abbandonare i Paesi emergenti e di tornare a produrre in Italia. L’Italia è seconda solo agli Sti Uniti in questo fenomeno, e primo Paese in Europa nel processo di back reshoring.
Perché le aziende rientrano in Italia?
Quali sono le ragioni di questo fenomeno? Quali sono i fattori che spingono le imprese a rientrare a casa? Le condizioni estere sono cambiate, la differenza nel costo del lavoro non è più abissale come anni fa, le rivendicazioni dei lavoratori per ottenere salari e condizioni migliori stanno facendo la loro parte non solo in Cina, i costi di logistica e trasporto incidono sempre più sui costi totali di prodotto e la qualità delle lavorazioni è nettamente inferiore rispetto a certe eccellenze del nostro Paese. Ma la causa principale sta nel peso del “made in Italy”, che il mercato internazionale apprezza sempre più. Se aggiungiamo, inoltre, il rapporto euro/dollaro più favorevole che agevola le esportazioni dall’Italia e la sempre maggiore esigenza di rispondere prontamente alle richieste del mercato, che mal si sposa con la distanza tra sedi produttive estere e centri di ricerca e sviluppo italiani, capiamo bene che rilocalizzare in Italia diventi sempre più allettante.
Le vere armi vincenti sui mercati internazionali sono gli elementi tipici della manifattura italiana: specializzazione, qualità delle lavorazioni, innovazione tecnologica, attenzione al cliente con un servizio “su misura” e una cura artigianale che è parte indissolubile di una cultura, di una tradizione e di un DNA esclusivamente italiano. Non basta riconoscere un’ispirazione italiana al design di un prodotto, la clientela italiana ma soprattutto estera cerca l’eccellenza della lavorazione artigianale e la certificazione 100% made in Italy. A sostegno di ciò, il 40% dei fenomeni di back reshoring nel nostro Paese riguarda imprese specializzate in settori di profilo medio-alto come abbigliamento, calzature, pelletterie, rifiniture di pregio. Anche il settore dei componenti meccanici gioca un ruolo importante nella rilocalizzazione con il suo 13%, mentre l’elettronica di consumo pesa circa l’8%.
Opportunità per le imprese marchigiane
I dati del consorzio interuniversitario Uni-Club MoRe Back-Reshoring sono particolarmente significativi per il tessuto imprenditoriale marchigiano, data l’incidenza del settore fashion (calzature, pelletterie e abbigliamento) e meccanico nella nostra Regione.
La tendenza di rivalorizzazione dei manufatti italiani, della qualità e dell’eccellenza a discapito delle produzioni massive si sta concretizzando sempre più, offrendo un ventaglio di opportunità per le imprese marchigiane che continuano a puntare su tradizione manifatturiera, qualità, export e innovazione.